UN PO’ DI STORIA
E’ risaputo che giocare a zona è un ottimo modo di fare la difesa. Controllando la palla piuttosto che l’uomo , una difesa validissima avente però contro molti pregiudizi. Fortunatamente il basket è uno sport opinabile e nessuno può definirsi depositario della verità. Il motivo? Semplicemente perché questo sport va “insegnato” considerando in modo prioritario le caratteristiche psicologiche,fisiche,e tecniche dei propri giocatori e non alla presunta “bibbia” del basket. Ogni allenatore deve avere cosi la propria verità , senza pensare che sia quella assoluta. E’ vero però che non si può giocare sempre a zona, ma è altrettanto vero il contrario.
A mio avviso, è un esempio di difesa di squadra dove le capacità individuali, fisiche e mentali si possono manifestare con grande spirito di collaborazione e umiltà. Non è facile giocare a zona e bisogna farla, esercitarsi molto per impararla. Non è vero che il suo apprendimento sia scontato, dopo avere imparato a difendere individualmente.
Chi asserisce che la difesa individuale basta e avanza, dice una mezza verità.
Oppure ,semplicemente, la sua verità.
Veramente la zona esprime un atteggiamento particolare (spirito) nel sentirsi sicuri dentro una “fortificazione” che ha molte sfaccettature interpretative. La si può fare passivamente (zona bulgara), ma non solo, fortunatamente. L’aspetto attivo e pungente ha la possibilità di esprimersi in diverso modo. Non voglio parlare delle zone-press che è un capitolo a parte della aggressività difensiva a zona. Vorrei puntualizzare, fermarmi , mettere i riflettori sulla zona classica “cangiante” che si esprime lasciando “spazi liberi”, invitanti e comodi da occupare. Sarà una trappola?
Giocare nei “buchi”? Quante volte lo avrete sentito dire!!! Sembra scontato che non si possa fare altrimenti. Non è vero. Lo si faceva una volta da fermi e muovendo la palla, con i vari principi che regolavano l’attacco. Era ed è un grande “handicap” per l’attacco stesso. Da sconsigliare anche se, dpv teorico, potrebbe andare bene.
Il motivo? Così come non si può giocare a zona in modo statico e attaccarla da fermi, occorrono altri concetti perché tutto si è evoluto. Evoluzione fisica , tecnica e mentale. La “zona bulgara” è stata rimossa dalla mente dei Coaches che hanno preferito, nel tempo, quelle “cangianti”. Va da sé che è importante sapere come si fanno, giusto? C’è modo e modo di usare i “cambiamenti” della zona, per mettere in difficoltà gli attaccanti. Trasformazioni adatte al periodo storico vissuto. Una volta si “modificava l’aspetto” della zona con la “match-up” (accoppiamento), un “bluff” adatto ai tempi passati.
La tattica è sempre in agguato ed è scontato che lo sia. La possibilità della strategia non è mai da escludere perché il basket , per definizione, “è una partita a scacchi giocata a livello dei fondamentali individuali e di squadra”. Non è la sola definizione esistente , è vero. Ce ne sono tante altre che completano la verità sul basket, lo so benissimo, ma questa ha la sua consistenza. Mossa e contromossa, per sottolineare che la difesa a zona è una trappola.
FAR CREDERE , DARE LA POSSIBILITÀ DI POTERE GIOCARE NEI “BUCHI”
La difesa a zona, quella classica, non chiude tutti gli spazi, non può. Copre alcuni spazi per lasciarne liberi altri. Spera che gli avversari ci vadano “dentro” per sentirsi liberi di passare e tirare. La zona non è solo una difesa, è anche una trappola. Avranno la sorpresa di comprendere che non sono loro che hanno la consapevolezza di essere liberi , ma sono stati gli avversari che hanno fatto di tutto perché lo pensassero. Macchiavelli docet? La difesa a zona ha sempre un progetto, semplicemente vuole fare di tutto per mettere in difficoltà gli avversari. Ingannandoli tanto per iniziare. Dovrebbe fare diversamente?
ACCOPPIARSI , ADATTARSI ALLO SCHIERAMENTO
E’ il primo aspetto tattico delle difese a zona.
Cambiare la disposizione della zona è una meta. Agli avversari si è offerto un aspetto, ma poi lo si cambia al primo passaggio.
Per questo motivo le difese a zona sono dette “cangianti”.
Trattasi del primo principio della famosa zona “match-up” (accoppiarsi) che era in voga negli anni ’70-’80. Cambiava l’aspetto sperando che non ci fosse movimento degli attaccanti. Soprattutto sognando e sperando che le abitudini degli avversari non prevedessero il “blocco” come fondamentale d’attacco per la zona. Chi metteva in pratica la “natch-up” cercava poi di conoscere gli attacchi alla difesa “collettiva” (zona), per completare l’inganno. Era comunque un vantaggio contro movimenti limitati dell’attacco, senza continuità. Bastava conoscerli e la “match-up” era vincente.
Guardare attentamente il Diag. sopra e immaginare la situazione. Si può.
Una volta , si cominciava, per esempio, con uno schieramento “pari” (2-3) per trasformarsi in “1-3-1”, esattamente come erano schierati gli attaccanti. Poi si seguivano , per un po’ certi tagli, consegnandoli ad altri difensori. Il soprannumero laterale li smascherava, ma non era sufficiente. Praticamente si cercava di ingannare gli sprovveduti tecnici che non preparavano bene i loro allievi. La sorpresa come sempre uccide chi la subisce per impreparazione, perché il basket attinge dall’imprevedibilità. Per riassumere diciamo che si presentava la zona con un aspetto, una disposizione qualunque, per poi cambiarla quando gli attaccanti si presentavano nei “buchi” lasciati liberi. E lo facevano subito oppure dopo il primo passaggio. Erano e sono ancora chiamati gli “adattamenti”, cioè spostamenti per occupare spazi sul campo relativi allo schieramento d’attacco. Far vedere i “buchi”, per poi toglierli. Geniale! Una mossa però adatta al periodo storico dei dinosauri.
I difensori facevano pensare di essere a zona, alzando le braccia, ma non lo erano affatto. A parte lo spirito che si manifestava nella compattezza difensiva, era un vero “bluff”.
Che fare? La partita a scacchi fatta a livello dei fondamentali di squadra era cominciata. La contromossa prevedeva di giocare in attacco coi blocchi e movimento di uomini, come se la match-up (accoppiamento) fosse una difesa individuale.
Giocare coi blocchi dona subito un grande vantaggio all’attacco perché la difesa a zona (fatta con quel particolare spirito) non è pronta a difendere come si deve su questo fondamentale. Come nel “poker” bisogna essere pronti far saltare il “bluff”.
E allora? Poiché l’evoluzione dagli anni ’80 c’è stata, eccome, com’è possibile rendere “cangianti” le difese a zona senza “bluff”?
ETTORE ZUCCHERI